-Tim! Siamo spiacenti, l'utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile! La preghiamo di riprovare più tardi.-
Era fastiosa. Fastidiosa ed odiosa insieme. Quella cazzo di voce. Quella cazzo di frase. Era la decima volta che la sentivo nell'ultima mezz'ora, e incominciava veramente a darmi sui nervi. Rispondi. Accendi il telefonino. Per favore. Ti prego.
Michele, chiuso in camera sua, continuava, ad intervalli più regolari di quanto immaginasse, a premere il tasto verde del suo nuovo Nokia, ma la risposta era sempre la stessa. Quella vocina fredda ed un po' nasale non assomigliava per niente a quella che avrebbe dovuto sentire dall'altra parte della linea. Dopo l'ultimo tentativo appoggiò il telefonino sulla scrivania e si buttò sul letto. Ma si rialzò quasi immediadamente, come se fosse stato morso da una tarantola, appena dopo aver appoggiato la testa sul cuscino. Il telefono. Lo guardò. Si rialzò e gli si avvicinò. Restò fermo più di un minuto a guardarlo, dall'alto, con un atteggiamento quasi di sfida, astioso. Lo prese in mano, girandolo e rigirandolo. Il filo di luce che entrava dalla tapparella quasi completamente chiusa, colpendolo, si divertita a farne luccicare ogni lato, ogni angolo, a restituirne deboli prismi e bagliori. Bello. Il telefono.
Era tutta lì la storia. In quella scatola magica, in quella matrioska di pensieri telematici, dal più grande al più piccolo. Telefonate, messaggi, foto, squilli. Ore di conversazione a distanza.
Perchè poi? Non mi ricordavo.
Giulia.
Mi aveva regalato lei quel telefono, neanche un mese prima. "Così con questo ci possiamo anche fare le foto, e addirittura vederci quando ci chiamiamo!". Così aveva detto, testuali parole. "Vederci quando ci chiamiamo". Ne aveva comprati due uguali, per poterlo fare, quell'estremo atto di romanticismo, uno per lei e uno per me. "Per festeggiare la promozione, adesso guadagno più di te!". Già, non che ci volesse poi molto.
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